Disegnare nuove topografie destrutturate
Quello che attraversava la sua vita e lasciava traccia era dell’idea che andasse in qualche modo ricordato e dovesse pertanto confluire nel suo libro muto, anche per dare consistenza e aggiungere più significato alla narrazione che sarebbe stata sempre più completa mentre da qualche parte si condensava e si incrostava nel suo accumulo di coscienza.
Avrebbe dovuto scrivere almeno qualche appunto molto sintetico, non poteva tenere tutto in mente. In caso contrario correva il rischio che gli accadimenti più lontani nel tempo si smarrissero, perdessero consistenza.
E le sensazioni, assieme ai pensieri, si trasformassero, perdessero le loro caratteristiche originali, diventassero un racconto attualizzato, schiacciato e appiattito sul quotidiano. Avevano uguale dignità di racconto sia le situazioni difficili e deludenti che lo riguardavano sia gli entusiasmi che si accendevano attorno a piccoli fatti, forse insignificanti, che ad una prima lettura prospettavano sviluppi molto soddisfacenti. Tutto era vita e narrazione di vita, materiale sensibile per il mio percorso letterario che accumulavo da diverso tempo.
La mia prospettiva spaziava a volte in mappe da rivedere: bisognava disegnare topografie che contenessero altre strade da percorrere, sentieri di collegamento trasversali per spostarsi da un punto all’altro in maniera più rapida, distanze brevi che mutavano punto di osservazione con percorsi molto veloci. Ogni viaggio successivo era una ulteriore esplorazione di novità e di contenuti da raccogliere sia all’inizio che alla fine.
Le uscite lungo il fiume avevano confermato una veduta molto interessante riguardo alle canne palustri che erano cresciute lungo gran parte del suo corso, nel letto parzialmente asciutto.
Ero sempre tentato di fotografarle quelle canne ma non avrei saputo cosa fare delle immagini pittoriche e anche un po’ romantiche del paesaggio fluviale.