Una lettura millimetrica

Frances Jiriti
Si era imprigionato nel bozzolo del racconto portoghese. Il cemento si stava asciugando in fretta. Lui si era accorto al risveglio di essere sprofondato fino alla cintola nella massa liquida e come si muoveva per uscirne scivolava ancora di più verso il fondo. Da solo non poteva uscire dal bozzolo.
Il filo del racconto era molto esile, soprattutto nel rapporto con gli altri e le parole vivaci che si erano aggiunte nelle righe immobili, avevano peggiorato la situazione.
Avevano finito per riempire il foglio, come protette nella moltitudine e al sicuro nella massa allineata, riga dopo riga ognuna portava il suo minimo pezzo di realtà e il suo peso lo faceva sprofondare sempre di più nel cemento molle.
Ognuna inseriva un frammento di senso che gli spiegava meglio il suo stato ma non serviva minimamente a tirarlo fuori dalla buca in cui era finito. In più gli girava in testa quelle tre righe di Pessoa che recitavano: “Detesto la lettura. Provo in anticipo il tedio delle pagine sconosciute. Riesco a leggere solo quello che conosco già.”
Il senso e la direzione del cammino verso un tempo in continuo divenire del racconto portoghese, nella buona fede del suo autore, lo avevano fatto cadere nella trappola che volontariamente si espone all’esame perpetuo, alla trasformazione dei tempi e all’interpretazione mutevole della storia e del senso…
(nei secoli dei secoli?) Anche le istantanee che aveva scattato con il suo telefonino obsoleto venivano tradotte in parole che si pietrificavano sulla pagina, attimi di vita scheggiata, vocaboli di vecchi libri portoghesi con la sorpresa del reperto, un’archeologia del passato (di verdura inscatolato) nella pagina lusitana, ricca di reperti umani e di brandelli di carne persi nel tempo, immagini abbozzate e appese nella luce gentile del sogno, dialoghi esplicati in forma barocca, pieni di vita imbalsamata…
quelle parole messe fuori testo cadevano a terra sfrigolando come petardi abbandonati alla forza di gravità…