Cosa leggere: ‘Cineprese di Regime’, di F. Fabiani

L’interessante saggio di F. Fabiani esplora una delle tematiche più interessanti legate ai movimenti totalitari del secolo scorso, ovvero l’uso dell’immagine nel cinema come strumento di propaganda e di trasmissione culturale.

L’immagine è stata per molti versi la vera ossessione dell’Occidente: saper raffigurare idee e contenuti ha sempre implicato una gestione diretta o meno con il potere e le posizioni di governo. Con la cinepresa tale legame raggiunge poi una nuova vetta.

Secondo F. Fabiani, i sistemi totalitari hanno trovato nel cinema una risposta per una duplice esigenza: propagandare in maniera efficace la propria mitologia e consolidare la propria identità affinché nessuno potesse contrastare i dogmi centrali. In questo modo, tra lo Stato e l’industria cinematografica si crea un legame indissolubile, con un unico obiettivo, quello di diffondere e radicare nelle masse il proprio messaggio.

Nonostante l’insufficienza di testi che esaminino l’uso della pellicola operato dai totalitarismi quanto di studi comparativi, l’opera ripercorre le vicende cinematografiche fasciste, naziste e sovietiche, offrendo un giudizio storico e stilistico sulle tecniche e l’efficacia delle politiche adottate.

In breve vorremmo ripercorrere i punti più salienti.

Innanzitutto, nella parte dedicata al fascismo, è posta giustamente in risalto l’importanza di ‘Nazionale LUCE’. L’istituzione, famosa per la celebrazione delle opere e delle imprese del governo di Mussolini, racconta anche molte storie che rappresentano l’Italia, gli Italiani e il mondo di primo ‘900. ‘Sole’ (1929), ‘Terra Madre’ (1931) e ‘Quattro passi fra le nuvole’ (1942) sono tra i film analizzati.

Nonostante la sua ricchezza e la complessità di queste realtà, il cinema rimane in questi decenni principalmente ancorato alle vicende storiche che fanno riferimento al fascismo. In bilico tra narrazione e propaganda, l’autore avverte tutta l’incertezza dell’epoca sul ruolo sociale che il cinema italiano doveva assumere in quegli anni.

Diverso è il discorso per il cine-giornale, strumento per la fabbrica del consenso.

Forte è l’idea di persuadere il cittadino con una serie incessante di materiale audiovisivo che rappresentasse simbolicamente Mussolini e il suo partito.

Particolare importanza in questa fase ha anche la Direzione Generale per la Cinematografia, che segna l’inizio della censura nella storia italiana.

Nella Germania Nazista vige invece un rapporto diverso tra stato e cinema, in quanto si ha un coordinamento più chiaro tra queste due forze. I cinegiornali e documentari avevano il compito di diffondere apertamente la visione nazional-socialista, mentre i lungometraggi promuovevano una mitologia romantica, tinta dalla volontà di conquista. Tra tutte le opere, valga l’esempio della famosissima regista Leni Riefenstahl, ‘Triumph des Willens’.

Secondo Goebbels il cinema aveva la missione di conquistare il mondo. La propaganda doveva essere semplice e potente: ricorrendo a slogan stereotipati da ripetere all’infinito, si toccavano le corde emotive di ogni uomo. Tra i valori dell’arte nazista vi è perciò quello di rendere l’arte una disciplina di tendenza universale.

Nel socialismo di Stalin la gestione monopolistica sull’industria del cinema serviva a ridimensionare le importazioni dall’estero e ad innalzare la qualità della produzione interna, così da rinsaldare il mercato osteggiato dalle pellicole americane.

Per questi motivi, il realismo avvicinò l’espressione artistica alle classi proletarie, adoperandosi per una celebrazione del progresso socialista. In questo modo un numero sempre maggiore di persone cominciò a relazionarsi con il mondo del cinema, poiché esse trovarono espresse in una chiave estetica le ragioni del loro esistere.

Altro oggetto dell’attenzione sovietica era la rappresentazione commemorativa di gesta eroiche e di vicende storiche. Nel saggio sono difatti analizzati i film sulle storie dei grandi protagonisti sovietici (tra cui anche Pietro il Grande) e sull’edificazione della figura di Lenin.

Però la parte più interessante rimane la conclusione, in cui F. Fabiani riprende con senso critico i punti sostanziali del saggio, comparando strumenti, tecniche e scopi dei diversi approcci, marcando non tanto le similitudine, ma le diversità.

Ecco perché leggere ‘Cineprese di Regime’, di F. Fabiani’.

Giacomo Pasotti

Nato a Brescia nel 1991, ho pubblicato nel 2014 il mio primo romanzo 'C-Note' con la casa editrice Temperino Rosso. Laureato in Filosofia, sono un lettore accanito di fumetti, libri, saggi. I miei interessi riguardano la storia, l'arte e tutto ciò che riguarda la narrazione.

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