Che cos’è la filosofia per Giorgio Agamben
Che cos’è la filosofia? è il titolo di un libro di Giorgio Agamben pubblicato quest’anno (2016) da Quodlibet. Un titolo che riproduce tale e quale l’interrogativo: Qu’est-ce que la philosofie? che Gilles Deleuze et Felix Guattari addottorano per la loro pubblicazione apparsa nel 1991 per Les éditions de minuit. E’ vero, né Deleuze né Guattari compaiono mai citati in quest’ultimo libro di Agamben, tuttavia il riferimento a quell’opera è indiscutibile, e non solo per il titolo.
Agamben, per cercare di rispondere al nostro quesito, compie un’escursione meticolosa negli anfratti, non dell’idea stessa di Filosofia, bensì del linguaggio, ossia ciò che sembrerebbe dar vita alla filosofia stessa. Sin dagli inizi del suo libro ci si sente perciò un po’ spaesati, proprio perché il soggetto che si vorrebbe trattato, rimane, come dire, ai margini della trattazione stessa. In effetti il soggetto principale di questo libro non è la filosofia, o meglio, non è un’idea di filosofia come potremmo pensare essa sia, in altre parole un modo di conoscere, un’attrazione e una volontà di conoscere che trova il suo realizzarsi in quell’atto spesso associato alla filosofia stessa, ossia il pensiero, o anche, la strada di un pensiero che con metodo e disciplina giunge al vero. No, non è questa la strada percorsa da Agamben. Egli piuttosto è propenso a mostrarci che la filosofia, già dai suoi arbori e in particolare con Platone, vero e proprio filo conduttore del testo, non ha mai avuto la pretesa della verità. I dialoghi Platonici, la loro costruzione più attenta agli aspetti letterari che non precettivi, ne sono l’evidente dimostrazione. Per Agamben la filosofia non procede in modo per così dire “filosofico”, non ha una retta via su cui marciare incurante delle infinite eccezioni che compongono il realizzarsi costante e continuamente differente dell’esistente.
Piuttosto è in questo sostrato marginale, nel linguaggio poetico e musicale ad esempio, ossia in quel mondo inscrutabile dalla ragione e incontrollabile dalla volontà, che si annidano i significati più pregnanti, che si dà in un certo senso la filosofia, sembrerebbe indicarci il nostro autore.
Non è dunque sulla strada dell’universalità adottata da Aristotele che la strada della filosofia deve procedere. Quell’Aristotele che fraintendendo in un certo senso Platone e la sua “vaga” dottrina delle idee, offriva con le concezioni universalistiche della sua Metafisica, le pietre miliari da seguire per i secoli a venire.
L’universo che ritrae Agamben è invece meno universale, meno solenne, meno indistruttibile di fronte al fluire del tempo. E’ probabilmente in questo senso che va vista anche la scelta del titolo del suo libro. Come dire: rispondere ad una domanda non coincide con la risposta che si offre a quella domanda, ovvero, la risposta non esaurisce mai una domanda, solenne o banale che possa essere. La domanda va pertanto posta in continuazione, perché le risposte possono solo avvicinarsi alla verità di qualcosa, ma mai abbracciarla, dato che ciò che può essere vero per un dato momento, non può esserlo per un altro.
L’intelligenza dell’uomo è dunque sempre chiamata in causa. Non ci si può esimere dal porci in continuazione delle domande che richiedono il nostro costante impegno, il nostro filosofare, questo perché la risposta universale non esiste, come nemmeno esistono domande di questo tipo.
Se pertanto per Deleuze e Guattari la filosofia poteva essere vista nel loro testo come creazione di concetti, ossia qualcosa di completamente nuovo rispetto a un’idea di filosofia da intendere come conoscenza del vero e adeguazione delle idee alla realtà, per Agamben essa continua a rimanere inafferrabile, continua, producendosi nel linguaggio, a essere creazione, creazione che nasce dal nulla, piuttosto che creatura da mettere in luce, ma di una creazione che, anche una volta prodotta, non potrà mai valere per sempre, ossia una creazione che va continuamente ricreata, come la musica stessa, che per essere udita, va suonata, almeno per tutte quelle volte che la si vorrà intendere.
E’ in questo senso che per cercare di rispondere alla domanda di cosa sia la filosofia, non ci si può esimere dal fatto che la sua definizione può sorgere solo in quell’istante in cui la si fa, e che muore in quel medesimo in cui si cessa di farla. Per la filosofia universale, quella della verità, non c’era questo tipo di problemi, perché muore tutto ciò che l’universale può contenere, non l’universale stesso, non lei; mentre per quella filosofia che vive solo nel nostro linguaggio, se essa muore, o in altre parole se noi non la teniamo in vita con la nostra azione creatività, siamo noi che moriamo con lei.
La filosofia, sembrerebbe finalmente dirci Agamben col suo libro, non è solo una questione di filosofia.