La fibra umana – Novità editoriale

“L’incontro  gentile  all’orizzonte  tra  mare  e  cielo,  tra  acqua  e  aria,  elementi  così  divisi  ma  in  equilibrio  tra  loro,  due  tonalità  fredde  separate  da  una linea  netta  ma  l’una  il  riflesso  dell’altra,  esprimeva  una  tale  profusione  di  tranquillità  e  di  primordiale  armonia che  servì  a  Renzo  per  trovare  l’ispirazione  ad  aprirsi  a  se  stesso. Tutta  la  sua  vita  era  stata  una  ricerca  della  combinazione  ottimale, della  giusta  misura,  della  mescolanza  chimica  appropriata  tra  colorante  e  fibra  tessile,  del  loro  legame  ideale,  della  stabilità  perfetta  e  del  risultato  migliore,  ma  senza  sapere  che  lo  avrebbe  portato ad  ammettere,  all’età  di  ottant’anni,  di  quanto  inutile  sia  ogni  tentativo  di  cancellare  l’imperfezione.”

Sono le prime righe del prologo de “La fibra umana”, romanzo di Emanuela Serughetti edito dall’editrice bresciana Temperino Rosso, nelle librerie in questi giorni.

La scrittrice, giornalista, interprete e insegnante di lingua inglese, raccoglie nel suo ultimo romanzo di rara bellezza, le memorie della vita dell’imprenditore Renzo Colombo. Una sfida per la scrittrice che nella sua terza prova, questo è il suo terzo romanzo, sfodera le carte di una narrazione avvincente, autentica, vera più del vero attraverso un linguaggio semplice, diretto e allo stesso tempo poetico, accompagnandoci dentro la vita di Renzo, indiscusso artefice della tintoria industriale italiana.

L’Italia del miracolo economico è il sottofondo delle vicende narrate. Personaggi, luoghi -siamo nella provincia bergamasca- scenari e vicende sono autentici, li possiamo tracciare sulla mappa del tempo come la cronologia di tutto il secondo Novecento: dai fatti storici durante e dopo la Seconda guerra mondiale, allo sviluppo dell’industria italiana. Ogni personaggio ha una sua verità, una sua storia che vive in simbiosi con il protagonista. Ridiamo delle follie giovanili e goliardiche, ci innamoriamo dell’ “amore che educa all’amore”, per citare uno dei capitoli del libro, e piangiamo alla morte che lascia tracce indelebili nel lettore. Perché questa storia si apre come un proscenio che svela e mette in scena la vita dell’imprenditore bergamasco, ma ad affascinare è anche la bravura dell’autrice che narra la vicenda con una scrittura sapiente: sa ascoltare e interpretare, rendere letteratura una vita nel suo divenire.

Il prologo ci avvicina fin da subito al personaggio principale, uomo del Novecento, o meglio, uomo del secondo Novecento che, ormai ottantenne, cammina su una spiaggia e riflette sul suo percorso tra successi e fallimenti. Quando ormai tutto sembra rasserenarsi all’agiatezza della vecchiaia, nasce in lui la decisione di scrivere la propria biografia.

Il romanzo, strutturato in due parti, inizia nel 1976 con un Renzo già maturo che si confronta con la famiglia e la vita di Fermo, padre del protagonista, che apre e chiude il primo capitolo come una sorta di premessa iconica di tutto il romanzo. Il prosieguo si affida alla cronologia della vita, con gli anni dell’infanzia di Renzo durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Il futuro imprenditore, tenace e determinato, il protetto dalla mamma Maria, si distingue fin da bambino per intraprendenza e onestà, così, nello sciogliersi dei capitoli dai titoli eloquenti, l’indiscussa capacità professionale lo porta a raggiungere, grazie alla sua invenzione -brevetta una macchina per tingere il poliestere- un successo mondiale. Sulla metafora della fibra tessile e delle nuove tecniche chimiche e meccaniche, emerge il tratteggio psicologico del protagonista, il lavoro e la sua vita s’intrecciano come una cosa sola. Il crescere delle ambizioni lavorative in tutto il mondo, si accompagna però al grande fallimento della sua vita, che a volte non va come dovrebbe ma che si salda per il beneficio della ricchezza economica compromettendo gli affetti suoi più cari, la famiglia, i figli, la nuova compagna americana. Le vicende si fanno cupe, le difficoltà dei sentimenti sembrano coincidere con le difficoltà lavorative, con sfide generazionali e capitalistiche di una vita scandita da felicità, nervosismo, gelosia, abbandono, e dal ticchettio delle lancette di un orologio dorato chiamato fabbrica.

“Ma la vita, che tanto si diverte a scombussolare le carte in tavola, gli presenta un’ultima sfida: trovare la ricetta chimica migliore per la sua fibra d’uomo, per riuscire a comporre un’immagine di sé lontana dalla perfezione ma vicina finalmente all’amore”.

Emanuela Serughetti

Questo romanzo di Emanuela Serughetti è una prova di coraggio per uno scrittore: confrontarsi con la vita vera di un uomo e farne una meravigliosa fiction. Un uomo che ha conosciuto, intervistato, con il quale ha condiviso giorni e anni di lavoro sul testo.

Come sei riuscita a calarti nei panni di un altro uomo e a tradurre la sua vita con incredibile verità e impeccabile tecnica narrativa?

Quando nel 2014 incontrai Renzo la prima volta e ascoltai il suo racconto, bastarono alcuni colpi di scena da film ad accendere nella mia fantasia le luci di un palcoscenico e animarlo con personaggi curiosi. Per alcune ambientazioni cupe in concerie degli anni Cinquanta e per l’ambizione di voler raccontare il furore di una nazione nella sua rinascita post bellica, fatto di vite idilliache di padri di famiglia progressisti capaci di costruire la propria fortuna dal nulla e trasmetterla alle generazioni successive, mi sono ispirata inizialmente alla Pastorale americana di Philip Roth. Fortuna, paradiso da un lato e follia, caduta e resa dei conti dall’altro. Così per intuito, con coraggio e avvalendomi di quel sottile discernimento, ho voluto far passare la storia più o meno drammatica di una nazione, l’Italia, dal salotto di casa e dalle problematiche aziendali della famiglia Colombo, perché è proprio dal nucleo famigliare che nasce una società che ha poi riverbero a livello internazionale. Ho usato una lente per avvicinare e paragonare il microcosmo famigliare al macrocosmo di un Paese, denunciandone le enormi potenzialità e responsabilità.

Questo è un romanzo molto particolare, “La fibra umana” spinge il lettore a un voyeurismo sottile, visto attraverso le ante di una finestra. Si può parlare dunque di una fiction di rara bellezza che si avvicina a biografie di imprenditori e uomini audaci del Novecento, ti piacerebbe che questo racconto diventasse una serie televisiva?

Magari! Per ora mi auguro che appassioni i lettori come ha appassionato me, il paragone de “La fibra umana” alle fiction riuscitissime della vita di grandi uomini del Novecento è già di per sé un bel risultato. Come è successo a me, chi legge il romanzo e conosce i luoghi descritti o solo li scopre per la prima volta, gli prende la voglia di mettersi in strada per andare a vederli, cercarli, perché questi luoghi, le fabbriche, le case, sono tutt’ora presenti.

I vari personaggi, e ce ne sono di molto noti, sei riuscita a inserirli nella narrazione con maestria, come se la loro notorietà passasse in secondo piano, schiacciata dalla travolgente personalità del protagonista. Quanto è stato importante per te avere tra le mani non una storia come tante, ma una bella storia vera da raccontare?

La biografia di Renzo Colombo è sicuramente ricca di vicende e di persone anche molto note a livello nazionale, parlo del campione di ciclismo Felice Gimondi, di Ivana Spagna, di Steno Marcegaglia, di Mike Bongiorno, del magnate Adnan Khashoggi e tanti altri, e tutto questo mi ha da subito ispirato per l’ingenuità con cui chi ha l’animo puro ed è privo di calcolo, affronta determinate cose nell’inconsapevolezza di quanto possano essere o diventare grandiose, e che guarda caso capitano proprio a lui. Renzo mi ha fatto pensare al memorabile personaggio di Forrest Gump, interpretato da Tom Hanks in una pellicola che si ricorda come una delle migliori di sempre nella filmografia statunitense, in quanto diretto testimone di importanti avvenimenti della storia, nel suo caso americana, e a tutte quelle coincidenze favorevoli di cui parla, seduto su una panchina, senza effettivamente rendersi conto di quanto tutto quello sia straordinario.

In considerazione di quanto mi dici, sono curioso di sapere quali sono gli scrittori che più influenzano il tuo lavoro e la tua ispirazione?

Ho un debole per la letteratura americana in genere e postmoderna, grandi autori del secolo scorso come John Steinbeck, Don DeLillo, Jonathan Franzen, ma anche Italo Calvino o Elsa Morante. Ho già menzionato Philip Roth, ma di grande ispirazione per me è stata l’ineguagliabile Flannery O’Connor, l’imprevedibilità dei suoi personaggi e la sua narrazione che segue il principio di un’educazione allo sguardo sul mondo. Apprezzo molto anche una grande scrittrice francese contemporanea Maylis de Kerangal e la sua capacità di guardare la poesia contenuta nel mondo della tecnica e di contemplare le questioni linguistiche che essa implica. E poi sicuramente i grandi classici.

Ringraziandoti, concludo con le suggestive parole che inquadrano la quarta di copertina del tuo romanzo “La fibra umana”:  “Il materiale tessile riesce ad assorbire il colore e a trattenerlo in base all’energia di legame che si crea tra le loro strutture molecolari. L’effetto è uguale a innamorarsi di una bella donna Renzo, capisci? Più riesci a entrare in sintonia con lei, più sarà difficile che lei si dimentichi di te e che trovi un altro che la faccia sentire come l’hai fatta sentire tu. È una questione di chimica.”

Federico Buelli

 

 

 

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