LEGGERE MA PERCHÈ SE L’AMOR NON C’È

 

 

La lettura, per me, è strettamente legata alla scuola, e la scuola è legata all’idea della costrizione, entrambe cose da evitare, se possibile. Quindi ho fatto di tutto per non leggere, compreso non studiare, cosa che si è riflessa negativamente sul mio profitto scolastico.

Quando i miei genitori, mia madre in particolare, si sono arresi ed hanno rinunciato a costringermi sui banchi, sotto la mia minaccia di un continuo peggioramento dei profitti, ho potuto liberarmi contemporaneamente delle due calamità: la scuola e la costrizione. Ho smesso di leggere, anche dei fumetti guardavo solo le figure. Vissi un’età dell’oro: avevo intrapreso un lavoro manuale, non era necessario che io leggessi e scrivessi, stavo lentamente cancellando l’idea della scuola, dalla quale avevo trattenuto solo un sano disprezzo per l’autorità (rappresentata in me dal predellino della cattedra) e un’avversione viscerale per il potere (rappresentata in me da chi stava su un altare), era tutto un procedere per osservazione ed intuizione e tanto mi bastava, stavo lentamente conquistando l’analfabetismo di ritorno. Ai miei primi amori donai un fiore ed un bacio, senza bigliettini. Ormai pensavo che sarei stato libero per sempre, alla lettera senza lettera. Ma sempre non esiste.

Un giorno di primavera avanzata, a Molano, in un piccolo spiazzo erboso che si apriva fra il Tribunale e la chiesa di San Pietro in Gessate, fui attratto dalla copertina di un libro che mi sembrò spiccare su di una bancarella di libri usati: mi parve un bell’oggetto, in finta pelle rossa, con impressioni in oro, in ottimo stato. Comprai quell’oggetto come si compra un soprammobile. In seguito scoprii che si trattava di “Poesie e Operette morali” di Giacomo Leopardi.

Questo fatto sconvolse il mare di tranquillità in cui stavo lentamente naufragando. Scoprii che avevo ritenuto dalla scuola altro che la mia acrimonia; alcune poesie riemersero ancora vive nella mia mente insieme ad emozioni che non avevo provato allora. Non solo, nei miei ricordi mi accorsi che erano assenti le ultime strofe di “A Silvia”. Avevano deciso, loro, che non erano adatte a dei ragazzini come noi e le avevano censurate dall’antologia: piansi a metà fra la gioia e la rabbia. Questo confermò contemporaneamente la mia avversione per l’autorità ed il potere, corroborandole con un senso di inutilità.

Gli anni passavano e “ce n’est pas que un début”, infatti la cosa continuò, mi resi conto di qualcosa che mi mancava ed andai a cercarlo. Ripresi faticosamente a leggere, oltre alla poesia lessi di tutto, continuando la lettura ad essere un piacere molto faticoso, specie la poesia, così mi resi conto che altro avevo ritenuto dagli anni passati sudato sulle carte del latino, l’analisi logica: il che aveva comportato una certa facilità nel comporre frasi anche di una certa lunghezza,

Fra tutte le letture la più difficile ed impegnativa è la poesia, e fu proprio quella che mi indicò le mie carenze. Così, dopo una giornata di lavoro, passai le notti a studiare su quegli stessi libri che avevo rifiutato di leggere comodamente di giorno dopo la scuola.

Quindi le grammatiche italiane; il Pazzaglia; il De Santis, confrontato con la Divina Commedia, con l’Orlando; e poi Ficino, Pico, Poliziano ma anche Alberti e Guicciardini; De Santis non mi diede tregua, e la poesia acuiva le mie mancanze: il ritmo, il metro, il significante, il significato, la semantica, la semiotica. Quante cose non mi avevano detto. Dopo questa fase, oltre all’impegno della poesia, cominciai a leggere di tutto, fino allo sfinimento.

Solo quando incominciò la grande campagna a favore della lettura mi fermai a pensare, solo allora mi resi conto della miriade di libri, spesso traduzioni, che venivano pubblicizzati, guardai la mia misera libreria, piena solo dei libri che avevo letto, e mi chiesi cosa mi avevano dato di duraturo. Così scoprii che alcuni mi avevano dato degli strumenti che prima non possedevo, specie riguardo alla poesia, altri pur non avendomi direttamente insegnato qualcosa mi avevano dato il piacere della lettura, della bellezza della lingua nel momento in cui si svolgeva sulle mie labbra, di molti altri invece ricordavo solo una gran fretta di scoprire la fine della storia, il piacere della lettura era stato soppiantato dalla curiosità. Anche questi ultimi finirono per insegnarmi qualcosa: la felicità non è nel raggiungimento dell’obiettivo ma in ciò che si compie per raggiungerlo.

Di questi, dei quali non ricordavo più nulla, in occasione dell’ultimo trasloco, in una casetta povera, senza infiniti corridoi da tappezzare con stipate libreria come quelle che si vedono durante alcune interviste televisive, mi sono liberato senza rimpianti. Se è vero che l’affare editoriale non sta tanto nella vendita dei libri ma nel ritiro gratuito dell’invenduto, ho contribuito alla ripresa dell’editoria e contemporaneamente ho compiuto un gesto ecologico salvando tanti alberi attraverso il riciclo della carta.

Secondo una statistica inglese di qualche anno fa, di tutti i libri che vengono venduti una parte soltanto viene letta, un’altra parte non viene terminata, una parte ancora viene acquistata con la promessa di leggerla appena se ne troverà il tempo ed infine una parte viene acquistata per moda, perché portare sottobraccio quel dato libro, o in borsetta, posarlo sul tavolino al bar qualifica il soggetto proponente. In effetti perché mai l’editoria dovrebbe preoccuparsi che i libri vengano letti dopo essere stati acquistati, l’obiettivo è la vendita e non necessariamente la diffusione della cultura (la cultura pertiene al coltivare; il sapere è pertinente al sapore all’assaggiare, succo, senno, nozione, quindi alla nozionistica).

A parte i dizionari i vocabolari le enciclopedie, i saggi, specie sulla poesia, è rimasto poco sugli scaffali: I sette pilastri della saggezza, il prototipo dei libri che si leggono senza aspettare la fine della storia perché una fine non c’è; Cent’anni di solitudine, davanti al quale ho visto crollare il muro che divideva la prosa dalla poesia; Le cosmicomiche, perché ho intuito, quindi non saprei spiegarlo, che conteneva i semi di una scrittura che sarà scoperta più avanti; poco altro.

Non leggo quasi più, a parte la poesia, non vado più a cercare i libri da leggere, lascio che siano loro a trovare me nei modi più inaspettati. I libri che ho letto negli ultimi anni?: Le lezioni americane, una rilettura; Ozio lentezza e nostalgia; Sette brevi lezioni di fisica; Le cosmicomiche, una rilettura; La lingua geniale – 9 ragioni per amare il greco. Poco altro.

Qualche anno fa, in una cartolibreria di paese dove stavo acquistando del nastro adesivo, una cliente chiese se era arrivato l’ultimo libro del tale, un americano di quelli che fa un libro al mese, e continuò dicendo che l’altro l’aveva letto tutto d’un fiato che non s’era accorta del passare del tempo e si era come risvegliata che era già notte. Il tipo di libro in questione si poteva facilmente dedurre dal suo enunciato. L’apostrofai dicendo: “cara signora, io raggiungo lo stesso risultato con una bottiglia di Lambrusco, e risparmio gli occhi”.

Francesco Mandrino

Francesco Mandrino, 1948. Ha scritto col ciclostile, sulle riviste, sui libri e su internet. Ha letto nei circoli nelle piazze nelle carceri nelle polisportive e nelle case per anziani. Ha fatto della Mail Art, della Peformance ed altre Patafisicherie. Resta uno dei pochi poeti non ancora defunti ma effettivamente viventi. Pratica l’autoallucinazione con tutto quello che si beve e si fuma.

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