Un libro non finisce davvero con l’ultima pagina

 

Nelle biblioteche sparse, secondo una geopoetica sui generis, una poetica della dislocazione geografica, di cui mi son fatto minuziosamente una mappa ragionata a mio uso e consumo, per l’Italia dei nostri giorni, tutt’assieme caldi e afosi, diventano luoghi preferiti dai lettori dove trovano doni inconsapevoli alla loro cultura potenziale e in quei luoghi, dimentichi di tutto o al riparo di tutto il resto, ci si appartano con un libro…

Non c’è nessun confine o limitazione concettuale alla scrittura mentale se non quello di tenere in dovuta considerazione ciò che si è formato durante gli anni passati a meditare sulle idee e sulle parole, a lasciar depositare la materia acquisita.

Ciò che richiede maggiore concentrazione e profondità sono gli orizzonti oscuri, i fili interrotti, le situazioni sospese perché quello che viene percepito dai sensi è accettato o rifiutato secondo criteri immediati, azioni e pensieri successivi, nel lavorio tipico dei processi lenti.

L’attesa, quell’attesa interminabile, mi piace pensarla con l’oro del mattino in bocca e credere che ci sia sempre un premio per chi, aspettando fiducioso, fa qualcosa d’altro.

Ogni azione congrua si dispone nell’alveo del previsto, dell’imprevisto, del prevedibile; non richiede grande sforzo per proseguire oltre con abituale normalità secondo regole consuete o inventandone di nuove. Il senso vitale è comunque andare oltre. Non c’è fine alla scrittura. La scrittura resiste ad ogni evento, sopravvive oltre ogni dire.

Un libro non finisce davvero con l’ultima pagina. Viene solamente interrotto, dopo un discreto numero di pagine, ma la storia va avanti fino a che l’autore ha vita. In realtà non si può interrompere veramente un libro: le pagine e le vicende proseguono senza riguardo per il giorno o la notte, per il sole o la pioggia. Ogni stagione produce scrittura, ogni uomo registra pensieri e azioni anche se non tutti le scrivono sulla carta. Ma la scrittura di un libro è più forte della vita del suo autore: gli sopravvive e continua come se fosse ancora vivo.

La scrittura si stacca da noi appena la mettiamo sulla pagina e vive di vita propria. Ma non è già più nostra da quando il lettore la percorre con lo sguardo lungo le righe che abbiamo riempito di quelle parole che sono di tutti. Il lettore cerca nella nostra scrittura le sue parole e se ne compiace di trovarle scritte. A me piace mettere in un libro la vita che ho condiviso con i miei avi, loro non ci sono più ma c’è la mia scrittura che parla ancora di loro.

Oggi sono testimone e autore per sempre di una storia che non era mai stata scritta e che i miei avi non hanno mai letto anche se li riguarda e prolunga sulla carta stampata l’alone della loro vita oltre me, oltre loro. Inconsapevoli, in vita, di fare storia: quando tutto si è ormai compiuto entrano nella letteratura di quella locale con gli onori che gli spettano. Come eroi greci hanno vissuto con poco ed hanno fatto molto. I miei avi hanno gettato con le mani stanche le grosse pietre oltre le spalle sulla paglia secca che è diventata oro, hanno stipato il fieno nelle rastrelliere perche diventasse pane e latte. Hanno raccolto le ghiande per farne caffè, toccando la terra che ha dato i suoi frutti, la vite il vino e l’acqua dalla fonte perenne.

Il tavolo vecchio per distendervi la polenta e il letto che fece il falegname, i vestiti cuciti in casa e le scarpe comprate al mercato. Hanno vissuto il loro tempo sospeso nel limbo dei poveri dignitosi con sudore e fatica, sorriso e dolore, riposo e parole. Non c’è fine umana al ricordo di loro: come la mia scrittura discreta rimane per sempre nel libro d’oro degli eroi che ho scritto per loro e che porto di notte in un luogo sconosciuto.

Entrato come una fiammella nella penombra dei loro pensieri ho trovato le parole già pronte per il foglio dei messaggi di casa, lo spartito dell’opera pia e il quaderno ingiallito delle narrazioni periodiche dove erano scritti tutti i loro viaggi con il carro dei buoi, il nome dei piccoli campi arati con la mucca, il peso del grano tagliato di notte, il giorno del fieno falciato prima dell’alba estiva.

 

 

 

Bruno Chiarlone Debenedetti

Bruno Chiarlone Debenedetti è nato nel 1947 a Cairo Montenotte (SV). Dal 1980 è attivo nel campo della poesia visiva e della mail art. Appena un anno dopo il grande Cavellini – GAC lo nomina maestro di cerimonia per il suo 100° anniversario 1914-2014. Nel 1990 scrive il Manifesto dell’Eco-arte. Nella sua nativa Liguria, a Rocchetta Cairo, con amici artisti, ha realizzato grandi murales sulle case del borgo. Dal 1996 ha collaborato con la rivista mensile “Liguria – Val Bormida”. Ha pubblicato alcuni romanzi storici e vari libri su Cavellini oltre a recenti libri conservati in varie biblioteche italiane. Scrive abitualmente vari articoli che compaiono on-line su Savonanews, Cagliari Art Magazine, Trucioli blog, Mediterranews, IVG. Bruno Chiarlone Debenedetti vive e lavora a Cairo Montenotte, Savona.

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