viva la sckuola
Un altro anno scolastico si sta per concludere, manca poco, pochissimo e tra figli che non ne possono più e genitori che “dai, ancora uno sforzo” e anche un “dove lo metto dopo? “, il clima sa di fatica ed incertezza.
Vorrei parlare della scuola, quella fatta da figli, genitori, insegnanti. Non di quella con le strutture fatiscenti, la mancanza dell’indispensabile, dei troppi o troppo pochi compiti. Non che non mi interessi, però non voglio entrare in polemiche che il più delle volte si arenano in sterili punti di vista, in amministrazioni bloccate da finanze disastrose, in genitori furiosi.
Quando mandiamo un figlio a scuola abbiamo tante aspettative e lo sappiamo tutti che la perfezione della nostra creatura sarà a rischio ogni giorno, e pure la nostra.
Siamo passati per la scuola dell’infanzia, ma lì nessuno gli ha dato un cinque o una nota. Si esce, salvo alcune traumatiche esperienze, abbastanza integri.
E poi ecco le elementari. Si vota ragazzi. Dieci è bello, cinque no.
I voti non mi piacciono, li trovo spesso avventati ed inutili, e frustranti. Però non credo siano questi numeri a creare sconforto o senso di inadeguatezza nei nostri figli.
Credo che siamo noi genitori. Perché mi piace pensare che siamo ancora l’appoggio e la sicurezza dei nostri ragazzi.
Il voto è spesso più importante per noi che non per loro. Stabilisce le nostre prestazioni, la nostra vittoria o perdita, quello che siamo capaci di fare.
Non si impegna, è intelligente, ma non si applica, ha difficoltà di concentrazione, non studia, scrive male, dimentica sempre tutto il materiale, non porta i libri, è distratto, la matematica proprio non riesce ad impararla, disturba la classe.
Arrivederci.
E torniamo a casa da un colloquio così e vediamo l’essere che abbiamo generato come un nemico che se ne sbatte di tutto quello che abbiamo fatto per lui, dalle doglie per il parto, allo zaino nuovo che è costato come un week end a Roma.
Un essere che ci ha messi davanti alla sua stronzissima maestra, che sicuro non ha neppure una laurea breve, e le ha permesso di giudicarci.
Iniziamo allora con: fammi vedere i quaderni, adesso vieni qui e studi, basta pc, basta telefono, basta cartoni animati, musica, film, you tube, gelati, giochi. Basta tutto.
Quello che resta è un genitore, a volte pure due, che dopo una giornata di lavoro arriva a casa già arrabbiato e frustrato e inizia a far studiare il figlio. Con molta insofferenza di solito. Lo sappiamo quasi tutti che fare i compiti con un ragazzo che non ha nessuna voglia di farli è una grossa prova per il nostro sistema nervoso.
Magari il figlio diventa più bravo. Magari, ed è la cosa più probabile, diventa bravo per un po’, il tempo di prendere un paio di voti belli, di far smettere la mamma di urlare, di riavere il suo telefono. Questo se è fortunato.
Se invece si ritrova con genitori molto coerenti e presenti ad ogni colloquio collettivo ed individuale sarà così per tutto il percorso scolastico.
E poi va così : sei stato bravo ed allora stasera staremo bene insieme. Non sei stato bravo e saranno musi lunghi e sfuriate.
Ecco, no.
Io sono una persona adulta e a volte, a torto o ragione, il mio capo è scontento del mio lavoro. Non ho mai pensato che questo possa influire sulla relazione con mio figlio o sul suo giudizio verso di me, nello stesso identico modo in cui non penso che lo possano fare i suoi voti.
Vedo tante cose in lui che nessuna materia scolastica può contenere e penso che casa e mamma devono essere un luogo in cui ci sono amore, riposo, sicurezza. Aiuto se serve. Se hai bisogno sono qui.
Mi fido, soprattutto perché so quanto vali. Quanto vali tu, non io.
La fiducia paga. E paga anche l’amore. Magari non con un 9, con un 6. O un cinque e mezzo preso studiando tantissimo una materia che gli fa proprio schifo e allora festeggiatelo quel cinque e mezzo! Ditegli “che bello, dai vedi? La prossima volta sarà un sei”.
Magari sbaglio, però quando arrivo a casa la sera, da mio figlio voglio sapere se sta bene, se è successo qualcosa di bello, se la ragazzina che gli piace ha giocato con lui.
Poi gli chiedo della scuola, se ha fatto i compiti, se ha bisogno di aiuto per fare qualcosa. Di solito dice che ha fatto tutto, a volte capisco che non è vero, ma non controllo. Domani avrà una nota e gli chiederò cosa è successo e lui dirà che si era dimenticato e faremo quel compito.
E lo faccio soprattutto perché a noi piace tanto concludere ogni giornata con un “ ti voglio bene”.